LA VIGNA - I VITIGNI - IL VIGNETO

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    MaryRosa

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    LA VITE - I VITIGNI - IL VIGNETO


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    La viticoltura europea, e quindi anche quella nostrana sopravvisse perché furono creati nuovi vitigni, innestando sul ceppo con radice della vite americana, la vite europea

    Le tecniche di coltura di questi ibridi sono molto più complicate di quelle di una volta, e quindi il lavoro del viticoltore è molto più impegnativo e faticoso.

    Prima del 1850 non s'irrorava ne zolfo ne solfato di rame, poi all'apparire dell'oidio e della peronospora, s'incominciò a dare il verderame e lo zolfo, due o tre volte l'anno da giugno a luglio; dopo l'avvento della fillossera con i vitigni ibridi si dà attualmente il verderame o liquido equivalente almeno sette volte l'anno e lo zolfo tre o quattro volte.

    I nuovi impiantamenti si realizzarono, dopo il totale sradicamento di quelli vecchi, facendo scassi profondi da 80 a 100 cm (dialetto "cutirön") con vanga, zappone e badile e con tanta tenacia, fatica e sudare.

    Oggigiorno, con i moderni e potenti trattori, si possono eseguire arature profonde anche un metro e quinti l'impiantamento di nuove vigne avviene attualmente senza eccessiva fatica.

    La coltivazione della vite nelle nostre zone ha avuto pochi vantaggi dalla meccanizzazione, cosa che non è accaduta invece, per i cereali, e quindi è ancora molto faticosa e complicata.

    Vediamo ora come si coltiva la vite dal 1910 in avanti (epoca post filossera).

    Fino verso il 1940 le temperature minime invernali erano mediamente più basse di quelle di quest'ultimi anni, faceva più freddo, in altre parole; si raggiungevano con facilità i 10 - 15 gradi sotto lo zero.

    A queste temperature certe piante non sopravvivono e tra queste la vite; i contadini, allora, per proteggere le viti dal freddo, dopo la vendemmia, e ultimati i lavori di semina, interravano le piante di vite (dialetto "strè al vì"), poste nelle zone più fredde del paese, dissotterrandole poi nel mese di marzo; oggigiorno questa pratica è stata totalmente abbandonata.

    La coltivazione della vite, che è diversa da zona a zona, avviene a Bergamasco secondo le seguenti fasi di lavoro:

    - potatura

    - sostituzione delle canne di sostegno

    - legatura dei tralci ai sostegni - prima aratura

    - zappatura - eliminazione dei germogli eccedenti nati dal ceppo

    - eliminazione dei germogli nati dai tralci eccedenti e sterili

    - varie irrorazioni di zolfo e anticrittogamici

    - seconda aratura

    - abbassamento dei germogli più alti

    - eventuale sfogliamento della pianta

    - vendemmia

    - concimazione


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    Edited by MaryRosa - 11/10/2014, 16:36
     
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    IL VITIGNO DELL'UVA BARBERA


    barbera02big


    Vitigno astigiano per eccellenza, il Barbera è coltivato in tutti i comuni dell’Alto Astigiano per la produzione delle DOC Barbera d'Asti e Barbera del Monferrato.
    L'uva si caratterizza per l’acino di un bel colore blu intenso, con polpa molto succosa e acidula, buccia molto vellutata e consistente, un grappolo piramidale o cilindrico molto compatto; il peduncolo quando è tendente al rosso è indice di buona qualità delle uve. È un vitigno duttile, che può trasformarsi in prodotti molto diversi, dai novelli ai grandi vini da invecchiamento. Il vino è di colore rosso rubino quasi purpureo, tendente al granato con l’invecchiamento. Ha profumo intenso e vinoso con sentore di fruttato, (con note di prugna e di ciliegia matura o anche di mora e di lampone). Se bevuto giovane ha gusto asciutto, con una buona acidità, poco tannico, gradevolmente fresco, floreale e fragrante adatto a tutto pasto. Dopo un adeguato invecchiamento assume una struttura robusta, concentrata, elegante e longeva.
    Nelle versioni affinato in barrique e superiore, assume gusto pieno ed armonico e una struttura importante. Servito a 18- 20º è ideale nell’abbinamento con primi importanti, piatti di carne, selvaggina e formaggi stagionati.
    Il tipo vivace è adatto ad un consumo più immediato, va servito a 15º e abbinato a primi saporiti e salumi. Il tipo fermo, servito a 16 - 18º va bene con grigliate di carni bianche e rosse, stufati, arrosti e pollame.



    IL VITIGNO DELL'UVA FREISA


    uva_freisa


    La disciplinare del vino Freisa d'Asti DOC prevede che deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti dal vitigno Freisa.
    Le uve devono essere prodotte nella zona di produzione comprendente il territorio collinare della provincia di Asti, esclusi pertanto i territori comunali di Cellarengo d'Asti e Villanova d'Asti.
    Sono pertanto da considerarsi idonei unicamente i vigneti collinari di giacitura ed orientamento adatti ed i cui terreni siano di natura argilloso - calcarea ed argilloso – sabbiosa.
    La produzione massima di uva per ettaro di coltura specializzata non dovrà superare i 95 q.li. Di tale produzione le uve destinate alla vinificazione del vino di cui all'art. 1 non dovranno superare gli 80 q.li per ettaro ed eventualmente a tale limite dovranno essere ricondotte attraverso una accurata cernita.
    La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%.
    Le operazioni di vinificazione e di invecchiamento devono venire effettuate nell'interno della zona di produzione. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, è consentito che tali operazioni siano effettuate nell'intero territorio delle provincie di Asti, Alessandria, Cuneo e Torino.
    Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino Freisa d'Asti una gradazione alcolica complessiva minima naturale di gradi 10,50.
    Il vino Freisa d'Asti all'atto dell'immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
    colore: rosso granato o cerasuolo piuttosto chiaro, con tendenza a leggero arancione quando il vino invecchia;
    sapore: amabile, fresco con sottofondo assai gradevole di lampone. Nel tipo secco e con breve invecchiamento, delicatamente morbido;
    profumo: caratteristico delicato di lampone e di rosa;
    gradazione alcolica complessiva minima: 11°;
    acidità totale : 5,5 per mille;
    estratto secco netto : 20 per mille.



    IL VITIGNO DELL'UVA MOSCATO D'ASTI


    moscato


    Il Moscato è un vitigno eccezionale che regala vini raffinati da Sud a Nord della penisola italiana fin dalla notte dei tempi e che, sicuramente, almeno una volta nella vita, ci sarà capitato di degustare in una delle sue tante versioni.
    Questo vitigno, che è possibile trovare in quasi tutta Italia seppur con differenti nomi a seconda dei dialetti, rappresenta attualmente una delle uve più importanti e diffuse per superficie vitata. L’origine di questa vite ci arriva fin dall’antichità e pare che le prime tracce siano da ricercarsi nella zona medio-orientale del Mediterraneo. A contribuire alla diffusione del Moscato, inizialmente nelle regioni del sud Italia, furono i Greci durante la loro opera di colonizzazione della Magna Grecia mentre, a portare questa uva nel centro e nel nord Italia ci pensarono i veneziani che, grazie ai loro scambi commerciali, riuscirono a farla arrivare e farla apprezzare anche in tutto il nord Europa.

    Se un poco di chiarezza la ritroviamo nella sua origine, per quanto riguarda il nome, viste anche le tante varietà tipiche della specie, esistono parallele origini che lo vedono citato nell’antica Grecia con il nome di Stico, Melampsithia e Psithia, per poi ritrovarlo durante tutta la storia dei Romani, con i nomi di Vennucolo e Sticula. Anche Catone cita una varietà di uva “apicae“, ovvero delle api (nome che probabilmente gli era stato attribuito per l’intensa attrazione che questi insetti hanno per il suo profumo), ma solo nel medioevo vediamo spuntare per la prima volta il nome Moscatello, che diverrà poi nel, diciassettesimo secolo, Moscato, facendo chiaramente riferimento all’odore intenso di questa uva giunta a maturazione che ricorda il profumo del muschio.

    Le Tipologie del Moscato

    A tutt’oggi, seppur esistano tante varietà di questo vitigno (solo nel 1800 si ne citavano già circa 80 diverse), quelle a bacca bianca sono considerate le più pregiate e ricercate per la vinificazione. Tra le più importanti troviamo: il Moscato bianco, di origine greca, con acino di media grandezza, da cui si ricava anche il “Moscato d’Asti” e lo Spumante d’Asti; il Moscato giallo, di origine siriana, con la buccia dell’acino coperta di pruina (una specie di patina biancastra); il Moscato di Alessandria, di origine egiziana arrivato poi anche in terra australiana, chiamato anche Zibibbo da cui si ottiene il famoso “Moscato di Pantelleria” e un gran numero di vini dolci grazie all’uso degli acini appassiti. Esistono inoltre bacche di questa specie con colorazioni che vanno dal blu intenso al nero e che rappresentano vere e proprie variazioni cromatiche degli acini dovute alla mutazione della bacca bianca. L’altezza preferita di coltivazione si aggira tra 600/700 metri slm e, quando supera queste altezze, è facile trovare la coltivazione a terrazzamento collinare con terreni ricchi di argilla e calcare. Il Moscato è molto sensibile agli attacchi della muffa grigia, degli acari e a tutte le crittogame in genere. La maturazione dei grappoli si ha nella seconda terza decade di settembre e, in generale, oltre gli spumanti, dalla bacca bianca si vinificano vini dal colore giallo paglierino, dal sapore fresco e con retrogusto intenso.


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